Ma d’altra parte dobbiamo considerare che la riparazione si misura anche in rapporto alla dignità di colui che la compie. Infatti una sola parola di supplica pronunciata da un re per riparare un’offesa è ritenuta più importante che se un altro fosse inginocchiato o avesse camminato nudo o avesse sopportato qualsiasi altra umiliazione per riparare l’offesa di chi l’ha subita. Ora non vi era nessun uomo puro che avesse un’infinita dignità la cui riparazione potesse essere di pari dignità all’offesa recata a Dio; fu dunque necessario che vi fosse un uomo di infinita dignità il quale subisse la pena per tutti e che, essendo di pari maestà, riparasse ai peccati di tutto il mondo. Per ciò l’unigenita Parola di Dio, vero Dio e Figlio di Dio, assunse la natura umana e volle subire in essa la morte, affinché tutto il genere umano fosse purificato dando soddisfazione per il peccato. Per questo Pietro dice, I Pietro, III, 18: “Cristo è morto una volta per tutte per i nostri peccato, lui il giusto per gli ingiusti” etc.
Non era dunque adeguato a Dio, come invece pensano [i saraceni], che egli purificasse i peccati umani senza [un’adeguata] riparazione, e neppure che non permettesse all’uomo di cadere nel peccato. Infatti la prima cosa era contraria all’ordine della giustizia, la seconda all’ordine della natura umana per la quale l’uomo è libero nella sua volontà, e può scegliere tra il bene e il male; e non spetta alla provvidenza distruggere l’ordine delle cose, ma salvaguardarlo. La saggezza di Dio si è manifestata soprattutto in ciò: ha conservato sia l’ordine della giustizia sia quello della natura, ma ha anche assicurato con misericordia un rimedio di salvezza all’uomo attraverso l’incarnazione e la morte di suo Figlio.
S. Tommaso, Contra Saracenos, 7